“non credi di averne bevuti abbastanza’”
“hei ti ho invitato per farmi compagnia, mica per censurarmi. E poi tanto guidi tu”
“ho capito, stasera devi scassarti. Così magari il dolore lo senti di meno, giusto?”
“non lo so guarda. Forse non è nemmeno il dolore che voglio allontanare. Certo, non vorrei stare così, ma siamo grandi, ed alla nostra età lo sai che un prezzo si paga in questi casi”
“ma senti, non sarebbe il dolore quindi il problema qui. Non ti iscrivevo fra i retorici del dolore come percorso di espiazione umana”
“non ho detto questo idiota. Odio il dolore, e preferirei fossi tu a stare così adesso”
“ ah grazie”
“ehehe, beh più comodo essere il consolatore dai. Ammettilo. Siamo così meravigliosamente filosofici quando guardiamo la pena negli altri. Sempre così lucidi, e pieni di ottimi consigli da dare. no?”
“ok…mi sa che paghi tu stasera eh! Allora non è il dolore, insomma, a conciarti come la pezza bagnata e sbattuta che ho davanti. E quindi cosa?”
“ma si, il dolore passa. E’ darwiniano, lo sappiamo che succede così. Ti adatti, sposti le energie in altre cose per non soccombere, finché non trovi qualche altro riferimento. Qualcosa che rimette in moto la macchina”
“ok ci adattiamo. Condivido. Ma la cosa non sembra darti sollievo. Hai la testa bassa, e giri ossessivamente quel bicchiere nelle mani, come stessi cercando qualcosa”
“sei tutta una metafora. Puoi smettere di fare lo scrittore del cazzo quando stai con me?”
“ok simpatia. Ma era per sottolineare il paradosso fra la tua analisi puntuale sull’adattamento umano e lo stato d’animo. Insomma questa consapevolezza non ti aiuta. Io penso che dipenda dal fatto che per quanto si cerchi di razionalizzare poi in fondo i sentimenti non li acquieti mica. Il dolore non lo sterilizzi col pensiero insomma”
“ non la capisco questa tendenza che avete voi artisti di descrivere il dolore come fosse una dimensione metafisica. Mica soffri con il corpo e pensi con la mente, come fossero entità separate. E’ un artificio letterario dai, e nemmeno tanto poetico se ci pensi bene. Ma no, è tutto li, nella testa insomma. Il corpo ne manifesta gli effetti, ma il dolore che proviamo si forma li”
“d’accordo, neuroscienziato 1, artista 0. Il dolore si forma nella testa. Comunque tu la metta stai soffrendo e penso sia questo il punto. Serve tempo insomma, perché si avvii quel processo di adattamento di cui hai parlato. Giriamola così”
“ma si, il punto è che quello che mi spaventa e mi prostra non è il dolore che provo ora, ma proprio il fato che mi adatterò”
“accidenti come sei cervellotico. Non vogliamo smettere di soffrire? Non dirmi che tu, il pragmatico più appassionato che conosca, non vuoi smettere di soffrire”
“certo che voglio, ma a anche prezzo?”
“c’è un prezzo? un premio forse”
“no, un prezzo. Forse il peggiore che si possa immaginare”
“e di grazia quale sarebbe?”
“che la dimenticherò. Che il suo bel viso diventerà una sagoma sfumata. La sua voce dal timbro caldo e grave diventerà un suono inspecifico. Che i suoi occhi, che ho voluto addosso come un cappotto caldo, spariranno dalla mia testa. Ho il terrore che lei diventi un aneddoto da raccontare a qualcuno, per consolarlo come fai tu ora con me. Per dimostrargli che si può continuare a vivere”
“capisco”
“come posso accettare che questo avvenga? Come posso squalificare una cosa che ho così tanto amato, desiderato fino a non dormirne. Che ha ispirato la stessa idea di vita che avrei voluto per me nel mio futuro. Come si può lasciar cadere tutto questo solo per non sentire più dolore?”
“per la ragione che il tuo futuro può esistere anche in altra forma. Non c’è solo quella visione li”
“ma si certo. Ci sono stato sai, dico nel mio futuro. L’ho esplorato tanto in questi giorni, ed ho visto cose che farò, persone che incontrerò. Sorrisi sul mio viso e mani aperte per prendere pezzi di serenità e portarli a me. Ma nessuno di questi funziona in definitiva”
“e perché no?”
“perché lei non è li”
“ho capito. Senti, ne ordiamo altri due?”