Dove ti appoggi,
se sei acqua.
Dove risolvi,
se sei domanda.
Dove finisci,
se sei eternità.
Come la parola
resta,
tu resti.
La gomma strofina
ma non ti cancella.
Sei macchia informe
sul foglio.
Dove ti appoggi,
se sei acqua.
Dove risolvi,
se sei domanda.
Dove finisci,
se sei eternità.
Come la parola
resta,
tu resti.
La gomma strofina
ma non ti cancella.
Sei macchia informe
sul foglio.
Tu non ti pieghi
a filo d’erba,
pettinata dal vento.
Stai su,
a girasole,
ma nemmeno la sua luce ti
cattura.
Scorri,
questo si,
ma non sfoci.
Forse ritorni nella terra,
sparisci in una faglia.
Ti fai animale,
predi,
catturi,
dilani.
E poi riposi,
felino sazio e insanguinato.
Io,
solo,
ti contengo.
Ti ospito,
non senza protestare.
Io sono il demiurgo,
tu il mondo.
Sono sconfinato,
non trovo l’inizio e la fine.
Una porta aperta,
una valle esposta,
un cielo sopra milioni di teste.
Esplorato,
scoperto,
espugnato.
Illimitato,
liberato,
perso.
Senza forma,
sformato,
deformato.
Sono un’opportunità,
un nota sul taccuino,
una lista troppo lunga da leggere.
Scoperchiato,
svelato,
sbandierato.
Divento il pugno chiuso,
l’isola senza lati,
l’albero piantato nella terra.
Piedi nudi camminano lenti su fango scuro come il terrore.
Fili di ossa e carne battuta si guardano senza parole, senza fiato.
Dentro una gabbia di spine girano in tondo come una domanda senza risposta
Nomi stracciati insieme alle vite che erano, ora sono numeri in una pila di righe
Corpi in coda di serpente diventano fumo che urla contro un cielo distratto.
Se hai un nome gridalo forte,
Io lo ricorderò per sempre
Hai le mani,
allora toccami.
Hai le labbra,
allora baciami.
Hai gli occhi,
allora penetrami.
Come lo chiami quando avvolto a coperta di pelle tiepida,
stai; che lì dove sei,
sei già ovunque?
Che parola usi quando il tuo viso,
accolto su collo caldo di camino d’inverno,
sembra affondare verso cielo?
Che parola conosci che descrive respiri così vicini che,
si respirano?
Un termine adatto lo hai,
per evocare corpi intrecciati a fune così stretti,
da resistere ad ogni peso che la vita sa infliggere?
Conosci un’ espressione che sa contenere il tutto,
come le braccia amorose che cullano una testa sul petto a cuscino?
Continuiamo a cercare parole domani,
ma ora,
abbracciami
La città ammutolita si corica per riposare le membra percosse.
Cuori tenuti distanti a forza cercano estremità di filo a cui aggrapparsi,
in attesa che si plachi la tempesta.
Voci multimediali tengono il conto dei respiri che se ne vanno,
e di quelli tornati liberi.
Occhi persi nel buio cercano altri occhi
e forse,
più di ieri,
si sentono comunità.
Una moltitudine di tonde torri stanno pacificate l’una accanto all’altra, corrose da tempo e dalla devozione.
Corrose ma non vinte.
Su un fiume giallo hanno urlato motori di piccole barche in slalom fra vite appese a palafitte.
Città di legno dignitosamente marcilenta.
Pavimenti di terra rossa sostengono templi abbracciati da possenti radici.
Abbraccio della natura all’afflato mistico dell’Uomo.
Schiene piegate da cesti e cianfrusaglie hanno proferito incessantemente il mantra “one dolaar”.
Prezzo base della dignità e del rancio giornaliero.
Sorrisi sdentati appesi a visi spaccati mi hanno parlato, senza parole, di una vita che non ha aspettato.
Ma nemmeno si è negata.
Altri, solari ed ingenui, hanno giocato a nascondino con me per farsi
trovare;
vedere;
esistere;
almeno per oggi
Hai svuotato la mia bisaccia colma di sassi e sospiri, e l’hai riempita di leggero soffio.
Ti chiamerò, meravigliosa Cambogia, promesso!
Spazi abitati parlano una lingua sconosciuta ora.
Candele sono spente da soffi e risate scroscianti.
Lo schermo cattura visi e canti festosi.
Occhi umidi scrutano le scene di una storia a cui non appartengono più.
Cose per cui vale la pena vivere:
– I visi dei miei figli quando sono nati
– il terzo movimento della quarta sinfonia di Brahms
– il formicolio alle gambe quando corro
– il suono che la chitarra fa uscire dalle mie mani
– il “piccolo” che mi accarezza la faccia e dice “papi bello”
– Footloose
– tutti i primi baci che ho dato nella mia vita, e quelli che darò
– sentire la “grande”cantare
– la Cavatina di Myers
– L’alba al mare, il tramonto in montagna
– le 4 persone che hanno cambiato per sempre la mia vita (fino ad ora)
– il mio lavoro quando non mi sembra lavorare
– io, che sorrido e non me ne accorgo
– la sonata in la maggiore per pianoforte di Paradisi
– parlare e camminare così tanto che non pensi più che stai camminando
– qualcuno che mi chiede “mandami un messaggio quando arrivi”.