Una mano è appoggiata tenera su di un miracolo. Lo scalda, lo ascolta, non lo vede ancora.
Il ventre si fa casa, tiepido rifugio in attesa dell’incontro.
Finché un corpo ora pronto si dilata, apre, separa,
per intrecciarsi poi di nuovo al primo abbraccio.
Labbra avide succhiano vita mentre altre baciano una fronte che si dà senza difese.
Braccia dolci e forti si fanno scudo e maestre, in una pazienza docile che ripete gesti come versi di una canzone.
Una voce da una finestra su un cortile chiama per un pranzo ormai freddo,
mentre gambe bambine rincorrono un pallone che non smette di rotolare.
Dita ansiose digitano su un telefono che risponde muto e desolato,
per poi rianimarsi ingenuo e brigante con le luci del mattino “mi cercavi per caso?”
Occhi fieri incoraggiano in un giorno importante,
e tutto l’amore dell’universo si chiude nel gesto di sistemare un colletto prima che esca.
Valigie sul ciglio della porta si portano via vestiti e frammenti di un cuore che non si ricomporrà mai più.
Un saluto cade lento dai primi capelli imbiancati e di nuovo due corpi si separano.
Su di una poltrona che ormai è casa una mano curvata dal tempo scorre pezzi di vita annegati in fotografie.
Sorride e attende che il telefono squilli.
“Pronto mamma?”