#Erosogni 4.

[Nudo disteso 1982 Renato Guttuso ]

A cosa pensi,
principessa voluttà,
mentre ti solchi?

Forse nella tua mente
quel palmo
tiepido,
morbido,
è un posticcio delle mie labbra.

Possibile,
che quelle dita,
curiose e irriverenti
siano le mie?

Magari,
quel movimento,
quegli spasmi,
prendono il ritmo
dei nostri respiri
intrecciati.

Forse…
Possibile…
Magari…

Il pomeriggio
pigro,
afoso,
mi avvolge e
confonde.

Sono io nella
tua fantasia,
o tu nella mia?

AD

“Pronto Mamma?”

Una mano è appoggiata tenera su di un miracolo. Lo scalda, lo ascolta, non lo vede ancora.

Il ventre si fa casa, tiepido rifugio in attesa dell’incontro.

Finché un corpo ora pronto si dilata, apre, separa,

per intrecciarsi poi di nuovo al primo abbraccio.

Labbra avide succhiano vita mentre altre baciano una fronte che si dà senza difese.

Braccia dolci e forti si fanno scudo e maestre, in una pazienza docile che ripete gesti come versi di una canzone.

Una voce da una finestra su un cortile chiama per un pranzo ormai freddo,

mentre gambe bambine rincorrono un pallone che non smette di rotolare.

Dita ansiose digitano su un telefono che risponde muto e desolato,

per poi rianimarsi ingenuo e brigante con le luci del mattino “mi cercavi per caso?”

Occhi fieri incoraggiano in un giorno importante,

e tutto l’amore dell’universo si chiude nel gesto di sistemare un colletto prima che esca.

Valigie sul ciglio della porta si portano via vestiti e frammenti di un cuore che non si ricomporrà mai più.

Un saluto cade lento dai primi capelli imbiancati e di nuovo due corpi si separano.

Su di una poltrona che ormai è casa una mano curvata dal tempo scorre pezzi di vita annegati in fotografie.

Sorride e attende che il telefono squilli.

“Pronto mamma?”

Il frutto

C’è un posto in cui amo tornare,

Una valle in cui curve sinuose di montagna vanno a schiantarsi.

Serve camminare con dedizione e non si negherà.

C’è un posto in cui amo tornare,

non serve una mappa,

seguirò il suono non solo dei miei sospiri per trovarlo.

Una folata di vento agrodolce mi dirà quando sarò arrivato.

C’è un posto in cui amo tornare,

Lì cresce un frutto il cui sapore sa di mare calmo, l’odore ricordi di vita non ancora vissuta.

Ingoierò il nòcciolo perché mi cresca dentro, mi dilani e sfami fino al prossimo viaggio.

C’è un posto in cui vado a morire senza pena né pentimento,

disperso nella voluttà,

non più cercato perché

trovato.

Questa volta è l’ultima volta

“Scusa piccola, sai come sono fatto, mi scaldo un po’. Ma lo sai che ti amo vero?”

Ancora una volta,

quella mano grande su di te,

a schiaffeggiarti il viso e l’ultima goccia di dignità.

A stropicciarti il corpo fosse un sacchetto.

“Sei una stupida oca!”

Ancora una volta,

le parole come sassi lanciati contro di te.

Da questi non puoi proteggerti nemmeno mettendo avanti le mani,

nascondendo la testa fra le gambe.

“Non succederà più, vedrai piccola…”

Ancora una volta,

appesa come un panno bagnato

all’illusione che dietro a quella violenza ci sia una ragione, un intoppo che potrai rimuovere con pazienza e amore.

“Se tu mi dessi ascolto piccola io non dovrei poi…”

Ancora una volta,

falsa tenerezza e rabbia ti vengono serviti uno dopo l’altro, come portate del pasto più amaro della tua vita.

Ancora una volta,

non riesci a ribellarti, perdoni lui e accusi te stessa,

ti nasconderai dai “come stai” con un “sono solo un po’ stanca”.

Questa volta,

sii stanca per davvero,

di negare la tua dignità,

il tuo diritto a credere che quel sole tiepido sul viso sia lì per te.

Questa volta,

abbandona valigie e vestiti accatastati insieme agli insulti e le botte,

chiudi la porta dietro di te e lascia che il mostro inghiotta se stesso.

La prossima volta,

nel tuo prossimo amore,

le sue mani avranno carezze per il tuo corpo, tempio da venerare e custodire.

Le sue parole sanno sprono ad afferrare i tuoi sogni,

dolci massaggi alla tua anima che riprenderà a pulsare come un cuore rianimato.

Questa volta,

ripeti forte:

“questa è stata l’ultima volta!”

Donna è una scatola

Ti ho vista uscire all’alba con una borsa panciuta di fogli, scritti fitti di idee che il mondo legge distrattamente.

Attraversare trafelata grigi corridoi,  carrellate sontuose di targhette su porte in cui il tuo nome ancora non c’è.

Piegata sui libri in notti nere sotto un filo di luce e matita per sottolineare. Ancora un altra pagina, e solo poi ti concederai un sonno sul cuscino delle tue aspirazioni.

Ti ho vista sorridere di macchie nere in viso mentre cambi una gomma a terra, e ammutolire seriosa davanti alla torta in forno che ancora non lievita.

Ho visto la tua schiena piegarsi per prendere in braccio un batuffolo di cane bagnato, e restare dritta di fronte all’ennesima ironia che arriva dal finestrino dell’auto. 

Ti ho vista mascherare di colore il viso stanco di chi deve sempre scalare le giornate, e regalare sfacciatamente pieghe vicino agli occhi quando sorridi a chi ami.

Donna è il nome della scatola nella quale il mondo vorrebbe chiuderti. Ma per te è solo un dei vestiti che indosserai nel gran galà della Vita.