La Corona e la Speranza

La città ammutolita si corica per riposare le membra percosse.

Cuori tenuti distanti a forza cercano estremità di filo a cui aggrapparsi,

in attesa che si plachi la tempesta.

Voci multimediali tengono il conto dei respiri che se ne vanno,

e di quelli tornati liberi.

Occhi persi nel buio cercano altri occhi

e forse,

più di ieri,

si sentono comunità.

Sampeah Cambogia

Una moltitudine di tonde torri stanno pacificate l’una accanto all’altra, corrose da tempo e dalla devozione.

Corrose ma non vinte.

Su un fiume giallo hanno urlato motori di piccole barche in slalom fra vite appese a palafitte.

Città di legno dignitosamente marcilenta.

Pavimenti di terra rossa sostengono templi abbracciati da possenti radici.

Abbraccio della natura all’afflato mistico dell’Uomo.

Schiene piegate da cesti e cianfrusaglie hanno proferito incessantemente il mantra “one dolaar”.

Prezzo base della dignità e del rancio giornaliero.

Sorrisi sdentati appesi a visi spaccati mi hanno parlato, senza parole, di una vita che non ha aspettato.

Ma nemmeno si è negata.

Altri, solari ed ingenui, hanno giocato a nascondino con me per farsi

trovare;

vedere;

esistere;

almeno per oggi

Hai svuotato la mia bisaccia colma di sassi e sospiri, e l’hai riempita di leggero soffio.

Ti chiamerò, meravigliosa Cambogia, promesso!

Perla nera nelle mani

Ti dirò di una perla che ho avuto fra le mani

Fatta di sentieri di roccia nera, lame di vulcano, bagnate al margine dal grande mare.

Di un sole pigro e ridente ingoiato dal blu , in un tempo sfilacciato come una maglietta lisa.

Di campi pennellati di nero, arancio e giallo, tavolozza di un artista eclettico e spericolato.

Di schiene piegate a spigolar capperi e staccare patelle, eucarestia rispettosa ed ancestrale.

Di uomini e donne accovacciati ad altezza vite, sciamani nero splendente come la terra che li ha generati.

Di una lunga strada che taglia montagne come grandi labbra, voluttuosamente attraversata…ancora ed ancora.

Ho avuto una perla nelle mani, e Pantelleria il mio cuore nelle sue.

Peluche

Senti il boato del mostro caduto dal cielo che vuole inghiottirti. Corri.

Copri gli occhi del tuo peluche, che non veda la polvere che avvolge il vostro futuro.

Lascia la mano adulta a cui ti aggrappavi. Non può più correre con te.

Dimentica le braccia a nido che ti hanno tenuto, le gambe su cui hai saltato. Oplà cavallino.

Ora spostati, i grandi devono giocare a rubarsi la terra. Lascia il peluche e scappa ora.

Ma non temere, tue mani cresceranno e potrai giocare anche tu a spaventare i peluche.

Togliti il gilet 

Farò un patto con te.  Vuoi ascoltarmi?

Ti restituisco il mio sogno più grande, quello che è cresciuto dentro di me, con me, come un organo vitale.

Che mi ha fatto pulsare di vita, convinto ad alzarmi ogni giorno, reso l’uomo che sono.

Riprenditelo, distuggi ogni possibilità di raggiungerlo, fai a pezzi ogni giorno sul quale ho scommesso per renderlo possibile.

Ma disarma la mano dell’assassino.

No? Non basta?

Allora prenditi la mia capacità di pensare, desiderare, progettare. Inchiodami in un presente perenne, condannami ad un giorno uguale all’altro, senza colori, ne luce ne notte.

Ma oscura la vista all’uomo con il dito sul pulsante.

Ancora??

Prenditi la mia gioia davanti ad un paesaggio rinfrancante, il palpitio dell’anima abbacinata da un’opera d’arte.

L’ardore di una battaglia di principio da combattere fino in fondo.

Ma annichilisci il pensiero dell’uomo che progetta di uccidere l’Uomo.

Non basta? Cosa vuoi ancora?

Allora prenditi la mia mano che accarezza, la mia bocca che bacia, il mio corpo che ama e viene amato.

Togli sensibilità alla mia pelle. Che non senta più il calore del sole all’alba, il tepore della pioggia settembrina, il fiato sottile del vento sul viso.

Ma ghiaccia le membra di chi sacrifica la vita anche di un solo bambino per l’erotismo del potere.

Io scambio, ma tu ora agisci.

Non serve che parli, che altri sappiano, che ti esponi. Il patto è fra me e te.

E se non accetti infine…togliti il gilet e ritirati.